Il Papa in Sinagoga. Punto focale del discorso del Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Roma: “i camini di Auschwitz”

 Si è svolto nella giornata di domenica l’ atteso incontro tra la comunità ebraica e il Papa, appuntamento storico dopo ventiquattro anni dalla visita dell’ allora Pontefice Giovanni Paolo II al medesimo luogo (era il 13 aprile 1986). L’ incontro è stato preceduto, in settimana, da critiche e forti prese di posizione (in particolare dal Presidente dei Rabbini Italiani Giuseppe Laras, a tale proposito, è possibile leggere quanto scritto già dalle colonne di questo blog), con riguardo alla Shoah e alla beatificazione di Pio XII, motivo per il quale c’ era molta attesa sia per il discorso ufficiale del Papa che per le parole pronunciate dai massimi esponenti dell’ ebraismo romano e italiano.

Il Papa in Sinagoga: comunità ebraica divisa

 Il giorno 27 gennaio si celebra in tutto il mondo la Giornata della Memoria, in occasione dell’ anniversario della data di liberazione del campo di concentramento di Auschwitz (avvenuta il 27 / 01 / 1945) dove si consumò uno dei più grandi genocidi della storia e dove morirono oltre un milione di ebrei.

Il Papa rivolge un appello agli amministratori: “Chi governa persegua bene comune. Servono provvedimenti condivisi”

 “È fondamentale, dice il Papa, che quanti hanno ricevuto dalla fiducia dei cittadini l’ alta responsabilità di governare le istituzioni avvertano come prioritaria l’ esigenza di perseguire costantemente il bene comune, che non è un bene ricercato per se stesso, ma per le persone che fanno parte della comunità sociale e che solo in essa possono realmente e più efficacemente conseguire il loro bene”.

Il Papa aggredito da una donna in San Pietro. Per fortuna, nessuna conseguenza fisica per il Santo Padre

 Tutto il mondo politico, a cominciare dalle massime cariche istituzionali, esprime solidarietà a Benedetto XVI. Dal Quirinale arriva l’ affettuosa solidarietà del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano; da palazzo Madama la profonda vicinanza di Renato Schifani; dal presidente della Camera Gianfranco Fini solidarietà e auguri di pronta guarigione; dal presidente del Consiglio Berlusconi i sentimenti più affettuosi di vicinanza non solo personali, ma anche di tutto il governo e di tutti gli italiani.

Funerali di Stato per i soldati morti a Kabul. Commozione del mondo politico

 Presenti alle esequie non soltanto le massime autorità del Paese, ma anche tantissima gente comune, che si è stretta con affetto e partecipazione attorno ai familiari delle vittime. Il corteo funebre è partito dall’ ospedale militare del Celio, diretto alla Basilica di S. Paolo, dove hanno avuto inizio le esequie. Numerose le bandiere tricolore esposte alle finestre e ai balconi dei palazzi lungo il percorso.

Per primi ad arrivare alla Basilica sono stati i familiari delle vittime, accolti da un lungo applauso della folla. Alcuni di loro hanno risposto salutando con la mano, altri sorridendo, ma il sentimento prevalente è stato quello di muto dolore. L’ ultima carezza del piccolo Martin Fortunato alla bara del suo papà è una delle immagini simbolo della giornata dei solenni funerali di Stato per i sei parà morti giovedì scorso nell’ attentato di Kabul.

Poi sono giunte le autorità: il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, quelli delle Camere, Renato Schifani e Gianfranco Fini, il premier Silvio Berlusconi, i ministri La Russa, Bossi, Calderoli, Frattini, Brunetta, Alfano, Meloni, Tremonti e Letta. Quindi il sindaco Alemanno. Folta anche la rappresentanza dell’opposizione: Franceschini, Bersani, Marino, D’ Alema, Scalfaro e Bassolino per il Pd quindi Casini e Vendola. Applausi e sventolio delle bandiere tricolore hanno accompagnato le salme dei sei militari all’ interno della Basilica.

La nuova enciclica. La Chiesa non ha soluzioni tecniche…

 “La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire e non pretende “minimamente d’ intromettersi nella politica degli Stati”. A ben vedere, è questa la chiave di volta dell’ interpretazione dell’ Enciclica “Caritas in veritate”, è questa l’ affermazione che tutta la concatena ed alla luce della quale l’ intero documento deve essere letto.

Benedetto XVI riprende con forza – con queste parole poste nella stessa Introduzione (Caritas in veritate, 9) – quanto già Giovanni Paolo II aveva scritto sia nella Centesimus annus (La Chiesa non ha modelli da proporre, 43) che, testualmente, nella Sollecitudo rei socialis (La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire, 41), aggiungendo anzi, sempre in quest’ ultima, ancor più esplicitamente: La Chiesa non propone sistemi o programmi economici e politici, né manifesta preferenze per gli uni o per gli altri, purché la dignità dell’ uomo sia debitamente rispettata e promossa e a lei stessa sia lasciato lo spazio necessario per esercitare il suo ministero nel mondo (ivi).

Certo – dopo il crollo, che il Papa sottolinea, dei sistemi economici e politici dei Paesi comunisti dell’ Europa orientale (Caritas in veritate, 23) – è rimasto il mercato (e l’ economia libera: Centesimus annus, 34).

“La società non deve proteggersi dal mercato, come se lo sviluppo di quest’ ultimo comportasse ipso facto la morte dei rapporti autenticamente umani” (Caritas in veritate, 36), scrive Benedetto XVI, proseguendo peraltro, subito: “È certamente vero che il mercato può essere orientato in modo negativo, non perché questa sia la sua natura, ma perché una certa ideologia lo può indirizzare in tal senso” (ivi).

Il papa firma l’ enciclica “Caritas in veritate”: “Basta precari, buon lavoro per tutti”

 No al precariato che ostacola i normali percorsi di vita, no alla delocalizzazione che porta allo sfruttamento, no all’ abbassamento delle tutele di fronte ad un sindacato indebolito. Mai un Papa era entrato così in profondità nelle dinamiche economiche. L’ enciclica “Caritas in veritate”, nell’ unanime approvazione di partiti e associazioni, stabilisce che Stato e mercato debbono convivere, il profitto non è peccato (ma basta con le disuguaglianze), la crisi finanziaria spinge verso un’ autorità mondiale (l’ Onu è inadeguata), l’ impresa ha grandi responsabilità sociali, il lavoro decente è un diritto (no al precariato).

Benedetto XVI sviscera la globalizzazione e proclama che gli immigrati non sono merce ma hanno pieni diritti, la finanza senza Dio causa povertà, l’ etica deve vigilare sugli aiuti al Terzo Mondo per ridistribuire ricchezza, la pianificazione eugenetica minaccia l’ umanità e l’ ateismo ostacola lo sviluppo. “La Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire e non pretende d’ intromettersi nella politica, però ha una missione di verità per una società a misura della dignità umana», precisa il Pontefice. Insomma, un sistema a tre soggetti (mercato, Stato, società) per una “civilizzazione dell’ economia“.

Non va abbassato, dunque, il livello di tutela dei lavoratori. “L’ estromissione dal lavoro per lungo tempo oppure la dipendenza prolungata dall’ assistenza pubblica o privata, minano la libertà e la creatività della persona e i suoi rapporti familiari e sociali con forti sofferenze sul piano psicologico e spirituale”, ricorda il Pontefice teologo. Servono una governance della finanza globale alla luce della crisi e un’ autorità planetaria per impedire che il terrorismo fondamentalista freni lo sviluppo dei popoli.

Il Papa è preoccupato dalla diffusione dell’ aborto e dell’ eutanasia in un’ epoca in cui la corruzione mette a rischio la democrazia e il cristianesimo è indispensabile per il progresso. La Chiesa approva l’ economia di mercato, che però non deve diventare la giungla del più forte. Dopo il crac Madoff, Benedetto XVI condanna gli “strumenti sofisticati usati per tradire i risparmiatori”, lo scandalo delle speculazioni, il saccheggio delle risorse e dell’ ambiente da parte dei ricchi, la fame provocata “non da carestie ma da irresponsabilità”

Il Pontefice scrive una lettera a Berlusconi: “Posti di lavoro per tutti. Occorre tener presenti le concrete esigenze umane e familiari”

 I provvedimenti volti a condurre il mondo fuori dalla crisi economica saranno efficaci solo se avranno anche una loro valenza etica. Lo ha detto papa Benedetto XVI in una lettera indirizzata al presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi prima del G8. “La misura dell’ efficacia tecnica dei provvedimenti da adottare per uscire dalla crisi – ricorda il pontefice ai partecipanti al vertice – coincide con la misura della sua valenza etica”.

“È doveroso riformare l’ architettura finanziaria internazionale per assicurare il coordinamento efficace delle politiche nazionali, evitando la speculazione creditizia e garantendo un’ ampia disponibilità internazionale di credito pubblico e privato al servizio della produzione e del lavoro, specialmente nei Paesi e nelle regioni più disagiati”. Afferma ancora il Papa nella lettera inviata a Berlusconi, sottolineando che al mondo “si impone l’ urgenza di un equo sistema commerciale internazionale, dando attuazione – e se necessario persino andando oltre – alle decisioni prese a Doha nel 2001, in favore dello sviluppo”.

Posti di lavoro per tutti “che consentano ai lavoratori e alle lavoratrici di provvedere in maniera degna ai bisogni della famiglia”: forte appello di Benedetto XVI che, in vista del G8 a L’ Aquila, prende carta e penna per scrivere al presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e chiedere che siano assicurate le misure a favore dei più bisognosi.

“Agli illustri partecipanti all’ incontro del G8 – afferma – mi preme altresì ricordare che la misura dell’ efficacia tecnica dei provvedimenti da adottare per uscire dalla crisi coincide con la misura della sua valenza etica. Occorre cioè tener presenti le concrete esigenze umane e familiari: mi riferisco, ad esempio, all’ effettiva creazione di posti di lavoro per tutti – prosegue – che consentano ai lavoratori e alle lavoratrici di provvedere in maniera degna ai bisogni della famiglia, e di assolvere alla primaria responsabilità che hanno nell’ educare i figli e nell’essere protagonisti nelle comunità di cui sono parte”.

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