Manovra economica: Stato moderno al capolinea…
La Gazzetta ufficiale (di 163 pagine!) con la manovra economica, dovrebbe entrare in ogni classe ed in ogni istituto di studio, dovrebbe esserne obbligatoria la lettura integrale. È infatti la plastica rappresentazione di uno Stato che è, da un lato, affamato di soldi e che, dall’ altro, è costretto a inventarsi mille strumenti per riuscire nello scopo di finanziarsi. C’ è nella manovra, certo, il forte, apprezzabile messaggio della necessità di uno smagrimento del peso dell’ apparato pubblico (anche se la via vera da seguire resta quella di “affamare la bestia” della spesa pubblica, specie locale, attraverso la prioritaria riduzione delle imposte: non c’è diversivo che tenga, in materia). Ma nella manovra c’ è anche, contestuale, il (grave) messaggio che, pur di sopravvivere, lo Stato è disposto ad attenuare le (ottocentesche) difese poste a presidio dello Stato di diritto (e, anche, a cedere – se vogliamo – ad un indiretto affievolimento dello stesso diritto di proprietà).
Gli avvisi di accertamento d’ imposta – è previsto nel decreto legge attualmente in vigore – diverranno esecutivi all’ atto stesso della notifica (un emendamento parlamentare – se resisterà – ne differisce però l’ esecutività). Le norme sugli accertamenti sintetici dei redditi vengono aggiornate: potranno essere formati sulla base delle spese di qualsiasi genere sostenute dai contribuenti interessati, così come potranno fondarsi sul contenuto induttivo (di elementi indicativi di capacità contributiva) individuato mediante l’ analisi di campioni significativi di contribuenti.
L’ Inps potrà anch’ esso emettere avvisi di addebito – per il recupero delle somme all’ Istituto dovute – con valore di titolo esecutivo. Il Catasto, poi, viene di fatto, sia pure surrettiziamente, consegnato ai Comuni (così che gli stessi si stabiliranno, da sé soli, la base imponibile del maggior tributo – quello immobiliare – di cui godranno con la riforma del federalismo fiscale) e questo attraverso la previsione che esso sarà in buona sostanza governato, nei suoi aspetti pregnanti, attraverso provvedimenti che non potranno essere emessi se non “d’ intesa” (non, “sentita”) la Conferenza Stato – città ed autonomie locali.
Tralasciamo il resto (potenziamento della partecipazione dei Comuni all’ attività di accertamento tributario e contributivo, limitazioni all’ uso del contante, contrasto alle imprese “apri e chiudi”, contrasto al fenomeno delle imprese in perdita “sistemica”, incrocio dati Inps – Agenzia entrate e così via) per non farla troppo lunga, e non appesantire ancora di più il discorso.
Si dirà naturalmente, ed è vero, che questa attività (fra la tipologia poliziesca e quella di limitazione di diritti), è un portato necessario della forte evasione fiscale che caratterizza il nostro Paese. Ma il punto sta proprio qui. Lo Stato ha bisogno di tanti mezzi (pressione fiscale – dato Istat – al livello record del 43,2 per cento; pressione reale calcolata dalla Cgia – considerato, cioè, il sommerso – al 52 per cento) perché è cresciuto a dismisura (spesa pubblica – dato Istat – al 52,5 dal Pil). Lo Stato non ce la fa più a reggersi, insomma.
E la domanda, allora, è la seguente: vale la pena di cercare di tirare avanti con uno Stato di questo genere, così paternalista ed invasivo, se il suo mantenimento ci costringe a superare limiti di civiltà giuridica che anche solo pochi anni fa credevamo insuperabili? Vale la pena, se il fallimento – anche sotto il profilo fiscale – di questo Stato, ci costringerà fra poco a sottostare – come si farà con il federalismo – ad una fiscalità di tipo patrimoniale (la fiscalità tipica degli Stati primitivi, incapaci di raggiungere la ricchezza dov’ è veramente, e solo capaci, quindi, di colpire quella – purchessia, anche senza reddito – che è sotto gli occhi di tutti)?
Forse, sarebbe meglio prendere atto che lo Stato moderno è giunto al capolinea. Dopo averne assecondato i vizi – ha scritto epigrammaticamente Piero Ostellino (Corsera 7.5.’10) – divora i propri cittadini per salvare se stesso. All’ ultima spiaggia, la balena – dico io – è soffocata dal suo stesso peso.
Fonte: Confedilizia