Due anni di lavoro diplomatico serrato per raggiungere nel 2011 il traguardo di uno Stato palestinese indipendente accanto allo Stato ebraico, finalmente sicuro ed in pace con i vicini. Questo l’ obiettivo che il presidente americano Barack Obama ha appena illustrato ai dirigenti israeliani, palestinesi ed egiziani secondo quanto ha appreso l’ influente quotidiano arabo a – Shark al – Awsat. Il trampolino di lancio di questa iniziativa, aggiungono fonti israeliane, potrebbe essere costituito da una nuova Conferenza di pace mediorientale, analoga a quella convocata a Madrid nel 1991.
Nella nottata di lunedì Obama ha conversato a lungo, per telefono, con Benyamin Netanyahu. Era stato il premier israeliano a prendere l’ iniziativa, per anticipargli a grandi linee il contenuto di un intervento politico in cui esporrà per la prima volta in forma dettagliata gli obiettivi del suo governo.
“Lo ascolterò con interesse” ha assicurato Obama che si attende in particolare dal leader del Likud un impegno a sostenere la formula dei Due Stati per i due popoli e a congelare ogni attività edile nelle colonie della Cisgiordania.
Netanyahu, dicono i suoi consiglieri, sta ancora lavorando al discorso e si consulta fra l’ altro con uno degli ideologi del Likud, il ministro Beny Begin, figlio dell’ ex premier Menachem Begin. A quanto pare, ribadirà che Israele resta vincolato dalla Road Map, il tracciato di pace del 2003. Eppure il discorso di Obama al Cairo desta inquietudine a Gerusalemme: il timore è che Washington abbia deciso di sacrificare in parte i legami con Israele per guadagnare nel mondo arabo i punti perduti dalla amministrazione Bush.
“Il nostro impegno verso Israele è indistruttibile” ha dunque ribadito ieri a Gerusalemme l’ emissario di Obama George Mitchell, leggendo un testo ben calibrato preparato per tempo. «Le nostre sono divergenze di opinioni fra stretti alleati ed amici, non fra avversari». Ma quando si sono spente le telecamere, Mitchell è tornato a dire a Netanyahu, a Shimon Peres e ad Ehud Barak che la costruzione delle colonie rappresenta per gli Usa una dolorosa spina nel fianco, che deve essere rimossa.
Alla Knesset il consenso quasi generale è che non è possibile imporre un congelamento totale nelle colonie perché non può essere ignorato il normale incremento demografico. Ma dati recenti rivelano che negli anni 2006 – 9, durante il governo Kadima, il numero dei coloni è cresciuto impetuosamente da 250 a 300 mila (ossia del 20%), e che alla fine del 2008 in Cisgiordania erano in fase di costruzione migliaia di nuove case.
La seconda questione che la diplomazia statunitense deve seguire con grande attenzione è quella delle lacerazioni fra i palestinesi stessi. Ieri a Ramallah – alla vigilia di una nuova visita di Mitchell – il convoglio presidenziale è stato centrato da un’auto in corsa e nei primi momenti si è temuto un attentato ad Abu Mazen, che invece si trovava altrove.