Si va sviluppando sempre più nel nostro Paese la microfinanza di aiuto sociale, quella che sostiene le famiglie sull’ orlo del lastrico. Anche l’ Italia ha scoperto il magico mondo della microfinanza. Ieri e oggi questo piccolo mondo di banchieri sociali – banchieri pazzi, si potrebbe pensare, visto che prestano senza garanzie confidando in parole come fiducia, orgoglio, indipendenza – si ritrova a Milano.
L’ occasione è la conferenza annuale della Emn, il network europeo di microfinanza, dove i principali operatori si scambiano informazioni, progetti, programmi, con uno sguardo rivolto all’ esperienza dei Paesi in via di sviluppo. Ed è per questo che a dare la linea agli europei è un marocchino, Fouad Abdelmoumni, che racconta la storia della sua Associazione Al Amana.
“Quando abbiamo iniziato tutti pensavano fosse un’ utopia – dice -. Sono passati sette anni prima di raggiungere 100 mila clienti attivi, poi nei successivi tre siamo arrivati a 400 mila”. Laman Trip, già presidente di Ing e ora a capo del consiglio di microfinanza olandese, gli risponde obamianamente: “Yes we can”, si può fare. In Europa il faro è la Francia dove già nel 2007 si sono erogati oltre 10 mila prestiti a soggetti cui le banche voltano le spalle. In Italia erano oltre 20 volte meno.
Ma ora c’ è un motivo in più che spinge questo mondo sotterraneo verso l’ emersione. Il problema si chiama povertà. Nell’ Italia dove il 25% della popolazione è escluso dal credito tradizionale (nei Paesi in via di sviluppo il tasso sale all’ 80%), c’ è pure chi il credito l’ ha avuto, ne ha abusato e sta con l’ acqua alla gola. Se la microfinanza classica si occupa di finanziare – con un meccanismo di fiducia, basato sulla corresponsabilizzazione sociale – le idee di imprese che possono far campare chi non ha mai avuto nulla, si va sviluppando sempre più la microfinanza di aiuto sociale, quella che sostiene le famiglie sull’ orlo del lastrico.
Si chiama credito d’ emergenza, da dare a famiglie in difficoltà temporanea, affinché non finiscano in mano agli strozzini o alzino bandiera bianca, finendo per sfasciarsi. Gli italiani, però, si fermano qui. In pochissimi, anche tra i più poveri, i disoccupati, quelli hanno alle spalle problemi con le banche o e che allo sportello si sentono dire no, grazie», si rivolgono al classico prestito per mettersi in proprio.
“Perché in tutte le indagini che abbiamo fatto – nota Corrado Ferretti, presidente della torinese PerMicro (primo posto ieri tra gli italiani nel premio indetto dalla Fondazione Giordano dell’ Amore) – quando si parla di microfinanza o di microcredito, pensano che si tratti solo di un piccolo prestito, di una Findomestic mignon. E credono che ci vogliano le stesse garanzie”.
Ma sbagliano. Perché anche in Italia le coperture di questo credito sono soprattutto morali e sociali. “Chiediamo che venga presentato da una rete di riferimento (può essere una parrocchia, un’ associazione di volontariato, una gruppo etnico…). Entriamo nel merito dell’ idea e la accompagniamo nell’ inserimento sul mercato”.
Una faticaccia, che serve a ridurre il rischio e rendere sostenibile l’ impresa di dar credito (a volte in proprio, a volte per mezzo di banche convenzionate) a chi credito non ha. A tassi che in Italia sono ben inferiori ai 20 – 30% applicati nei Paesi in via di Sviluppo, come spiega Fabio Malanchini, managing director di Microfinanza Srl e, generalmente, si piazzano “tra il 5 e il 6%” (ma ci sono casi ben superiori al 10%) può essere difficile far quadrare i conti. “Con un erogato medio di 7 mila euro, le insolvenze – aggiunge Malanchini – raggiungono il 10 – 15%”. Meno sostenibili sono invece alcuni programmi pubblici meno scrupolosi nelle selezioni: a volte succede che anche la metà dell’ erogato se ne vada in fumo.