Condannato Alan Greenspan, ex presidente della Fed, la banca centrale americana, giudicato colpevole della crisi finanziaria e rappresentante dei regolatori troppo distratti. Per gli economisti la condanna emessa è stata piuttosto soft; per chi doveva vigilare sui mercati e per i politici, è in arrivo un verdetto severo; oggi si giudicheranno i banchieri e c’ è da prevedere il massimo della pena. La giuria popolare di questo processo all’ americana ha dovuto districarsi tra molte raffinate versioni dello scaricabarile escogitate dagli avvocati difensori; opportunamente, si tratta di 30 giovani studenti di economia scelti tra i migliori.
La sorpresa dell’ udienza di ieri l’ ha portata un testimone che aveva previsto il fattaccio, e non era stato ascoltato. Lo ha convocato l’ economista Luigi Spaventa, pubblico ministero di turno al “Tribunale della crisi”, spettacolo centrale del Festival dell’ Economia trentino. Il teste è William White, un canadese ora in pensione che era capo economista della Banca dei regolamenti internazionali a Basilea.
White, al corrente di tutti i dati più delicati, aveva lanciato l’ allarme – insieme con il suo vice, l’ italiano Claudio Borio – nei rapporti Bri 2006 e 2007. Ora rivendica il suo primato senza accusare nessuno: “Erano inadeguate le regole sul capitale delle banche. Erano insufficienti, specie negli Stati Uniti, le istituzioni di vigilanza, anche perché guardavano alla stabilità di ogni singola banca senza occuparsi di che cosa sarebbe accaduto in caso di difficoltà per tutto il sistema. E poi c’ era la psicologia, che negli anni di vacche grasse rende difficile prevedere tempi peggiori”.
Perché taceva il Fondo monetario, la più importante istituzione finanziaria internazionale? Anche lì qualcuno si era accorto del pericolo, come l’ allora capo ufficio studi, l’ indiano Raghuram Rajan. “Degli squilibri già parlavamo nel 2003 – insiste l’ avvocato difensore del Fondo monetario internazionale, Piercarlo Padoan (che nel Fmi rappresentava l’ Italia) – ma potevamo solo proporre, mentre erano i governi a disporre”. Specie gli Stati Uniti, che non avevano mai aperto la propria finanza alle ispezioni del Fondo monetario.
“Negli Stati Uniti erano più di sessanta le autorità di controllo, e con poteri limitati – depone un altro teste, il direttore per la ricerca economica della Banca d’ Italia, Salvatore Rossi – insomma come mettere molti vigili urbani a regolare lo stesso incrocio, per di più imponendogli di multare solo le utilitarie. A vigilare sulle banche di investimento era solo l’ americana Sec, l’ equivalente della nostra Consob: sono bravi, ma il loro mestiere è un altro”.
Chi c’ è al vertice di tutto questo? Il pubblico ministero Spaventa – brillante e conciso dall’ alto dei suoi 75 anni benissimo portati – pronuncia un nome: Alan Greenspan. “Con lui alla guida della Federal Reserve non abbiamo bisogno di fare lobbying” aveva dichiarato a suo tempo il capo dell’ Isda, la lobby dei derivati finanziari. L’ avvocato difensore degli enti di vigilanza, Andrea Prat della London School of Economics, si rimette alla clemenza della Corte: “Che potevano fare? Quasi tutti gli dicevano che andava bene così. Compreso un economista famoso, che ha lavorato con Clinton, poi ha guadagnato 5 milioni di dollari con uno hedge fund, e ora consiglia Obama: Larry Summers”.
Entrambi i partiti Usa, repubblicani e democratici, escono male dal cinematografico processo condotto sotto la regia del giornalista Massimo Gaggi, presidente del tribunale. Gli economisti escono assolti da 3 dei 9 capi d’ accusa, mitemente condannati per gli altri. Darà la colpa ai politici anche Luigi Zingales, il professore di Chicago che oggi avrà l’ arduo compito di difendere i banchieri: “È stata la politica a offrirgli gli incentivi a sbagliare; ad esempio con una regolamentazione sbagliata dei mutui, che serviva a promettere la casa a tutti”.