La Commissione europea ha deferito l’ Italia davanti alla Corte di Giustizia europea per l’ errata dicitura sulle etichette del cioccolato. Un aggettivo di troppo ha dato di nuovo fuoco alle polveri tra Roma e Bruxelles, che si scontrano questa volta sulle barrette di cioccolato, o meglio sulla loro etichettatura.
È giunto pochi giorni fa alla Corte europea di giustizia il ricorso della Commissione Ue contro la normativa italiana sull’ etichettatura del cioccolato puro, ultima tappa di una querelle che va avanti da nove anni. Ancora nessun indizio invece sulla data dell’ udienza.
Il motivo del contendere risale all’ approvazione di una controversa direttiva europea del 2000 che aveva ammesso la possibilità di utilizzare alcuni grassi vegetali in sostituzione del burro di cacao (burro di illipé, di karité, o di cocum o olio di palma) fino al 5% del prodotto finito. Secondo la direttiva, la denominazione cioccolato deve designare anche i prodotti surrogati, a condizione di indicarne la presenza in etichetta, nella lista degli ingredienti, con la menzione specifica, in grassetto, Contiene altri grassi vegetali oltre al burro di cacao.
L’ Italia, nel dare applicazione alla direttiva, ha introdotto l’ aggettivo puro accanto alla denominazione cioccolato, quando il prodotto non contiene i grassi di sostituzione. La motivazione italiana si basa sul fatto, evidente, che i grassi di sostituzione, meno pregiati e costosi, non sono naturali, in quanto non c’ è una componente del cacao, ma sono ingredienti estranei che devono venire aggiunti al prodotto.
Di tutt’ altro avviso la Commissione per cui quell’ aggettivo è superfluo e la lista degli ingredienti è più che sufficiente a indicare se nel cioccolato c’ è o meno il burro di cacao. Dal punto di vista dell’ esecutivo Ue, la legislazione italiana “modifica e pregiudica le definizioni armonizzate al livello comunitario” delle indicazioni in etichetta. “Dato che in italiano puro vuol dire non adulterato, non corrotto e quindi genuino – si legge nella motivazione del ricorso – i consumatori sono indotti a pensare che quei prodotti, che pure rispettano la direttiva e le condizioni da essa previste rispetto alle denominazioni di vendita, contengono grassi vegetali diversi dal burro di cacao, sono non puri, e cioè adulterati, corrotti e non genuini”.
Dopo aver aperto la procedura d’ infrazione, chiedendo spiegazioni all’ Italia, e avere successivamente inviato un parere motivato, a Roma, la Commissione ha infine presentato un ricorso per inadempimento davanti alla Corte di Giustizia, per violazione della direttiva Ue sul cioccolato e di quella sull’ etichettatura e presentazione dei prodotti alimentari e sulla relativa pubblicità.
L’ Italia, tra l’altro, è già stata condannata dalla Corte (insieme alla Spagna) il 16 gennaio 2003 per aver vietato la commercializzazione con la denominazione cioccolato di prodotti contenenti grassi vegetali diversi dal burro di cacao. Quella sentenza, tuttavia, era basata sull’ applicazione di una direttiva precedente (del 1973) che non consentiva ancora l’ uso di questi grassi, se non come eccezione in alcuni Stati membri da poco entrati nella Comunità. In quell’ occasione, la Corte aveva ritenuto che l’ aggiunta di tali sostanze grasse non modificava la natura del prodotto e l’ indicazione sull’ etichettatura era sufficiente per garantire una corretta informazione dei consumatori.
Oltre alla crisi economica, il terremoto in Abruzzo e…tutto quanto sta accadendo, anche la guerra del cioccolato… “Piangi, che hai donde, Italia mia”, diceva Giacomo Leopardi…Viene quasi da chiedersi se fosse un veggente. Queste strofe sembrano scritte adesso…