No al decreto, il provvedimento slitta ora alla prossima settimana. Quindi nessun decreto e nessuna forzatura contro le Regioni. Il testo del piano casa voluto – e poi disconosciuto – da Silvio Berlusconi finisce definitivamente nel cassetto. La forte opposizione dei governatori, soprattutto quelli targati Pd, lo hanno convinto a soprassedere. Da ieri mattina, e fino a martedì, il ministro delle Regioni Raffaele Fitto lavorerà con i presidenti per mettere a punto un testo condiviso. Sarà una legge quadro, e non permetterà aumenti generalizzati dei volumi. “Vogliamo lavorare in sintonia con gli enti locali”, dice Berlusconi alla fine del vertice.
Pur dovendo tener conto della opposizione delle Regioni (competenti almeno quanto il governo in materia edilizia) il premier teme però una manovra politica orchestrata dall’ opposizione e non si fida della nuova apertura del leader Dario Franceschini. “Se ci sarà la tutela del paesaggio, siamo favorevoli al confronto”, ha detto Franceschini. Per questo, all’ ora di cena, alla fine di una giornata di trattative fra Fitto e il presidente Pd dell’ Emilia (nonché membro della segreteria del partito) Vasco Errani, il Cavaliere fa sapere che non si tratta di una frenata e che venerdì potrebbe approvare un provvedimento con effetti immediati. Al momento è solo una minaccia: Berlusconi vuole essere sicuro di aver rivoluzionato l’ agenda dei governatori, costringendoli per una settimana a discutere di un’ alternativa plausibile al suo decreto.
La marcia indietro sul testo messo a punto da Niccolò Ghedini c’ è comunque stata, e su di essa hanno pesato molti fattori: i dubbi del Quirinale, della Lombardia di Roberto Formigoni, ma soprattutto della Lega, che ha temuto di veder lese le prerogative di quelle Regioni e Comuni – soprattutto del nord – dove a certe condizioni aumenti di cubatura e premi per la ricostruzione degli edifici esistono già.
Un aneddoto accaduto può aiutare a capire: terminata la riunione con il governo, il presidente dell’ Umbria Maria Rita Lorenzetti sta parlando con i colleghi nella piazza di fronte a Palazzo Chigi. Si avvicina il leghista Guido Dussin, capogruppo alla Camera in commissione Lavori pubblici e vicesindaco di San Vendemiano: “Dài presidente, fallo saltare questo piano”. “Stiamo cercando la mediazione”, risponde la Lorenzetti nemmeno troppo sorpresa. Dietro al ripensamento ci sono anche ragioni tecniche: troppe le differenze normative fra Regioni, troppi i casi in cui il decreto avrebbe invaso le competenze dei Comuni.
Durante il vertice, il presidente dell’ Emilia Vasco Errani ha paventato al Cavaliere un ulteriore rischio: ovvero che il piano potesse innescare una mini – bolla su certi tipi di immobili, come gli attici o le ville. Ancora: un aumento delle cubature generalizzato e senza autorizzazione, o il silenzio – assenso entro trenta giorni imposto alle sovrintendenze avrebbe potuto innescare una enorme quantità di contenziosi civili e amministrativi. Ora il tentativo è quello di mettere a punto un testo che abbia il consenso più ampio possibile fra le venti Regioni.
“Se ci sarà l’ accordo, non importa lo strumento con cui verrà approvato”, spiega Formigoni: nella partita che si gioca di qui a martedì il presidente lombardo avrà un ruolo fondamentale di mediazione. Già Fitto e i presidenti hanno cominciato a immaginare possibili soluzioni tecniche. Se sugli interventi di demolizione e ricostruzione c’ è consenso per una Dia semplificata, l’ argomento più delicato è quello che permetterebbe gli aumenti di cubatura. Una strada potrebbe essere quella già percorsa in alcune Regioni del nord: consentirli non solo nel caso di ricostruzione ex novo di edifici vecchi, ma anche ad esempio a tutti gli appartamenti che decidessero di mettere a norma gli impianti, o ottenere una certificazione ecocompatibile dell’ intero stabile.