L’ elezione di Cappellacci alla presidenza della Regione Sardegna dal punto di vista politico rappresenta una vittoria di Silvio Berlusconi. Il premier, infatti, ha giocato in prima persona questa campagna elettorale, puntando addirittura su un candidato quasi sconosciuto per una sorta di rinnovamento al di fuori dell’ organizzazione tradizionale del Pdl. E andando avanti malgrado il parere contrario degli alleati, con un Gianfranco Fini pressoché infuriato perché informato a cose fatte della scelta di Cappellacci. Ma, soprattutto, Berlusconi ha vinto sulla linea del decisionismo che lo contraddistingue. La fase cruciale della campagna elettorale è stata occupata dallo scontro con i vertici istituzionali sul decreto legge per Eluana, approvato dal Consiglio dei ministri ma respinto dal Quirinale; e proprio alla vigilia del voto del decreto antistupro, per il quale difficilmente Napolitano potrà contestare i requisiti d’ urgenza.
Una filosofia politica applicata anche in Sardegna quando Berlusconi – contro la politica dell’ Eni – ha imposto che le industrie petrolchimiche di Porto Torres fermassero gli stabilimenti. Una politica, quella del “decisionismo”, che ha spostato nelle ultime settimane consenso a livello nazionale così come in Sardegna: dopo il caso Eluana il Pdl nei sondaggi riservati del premier è tornato al di sopra del 40% (un tetto che non riusciva a toccare da sei mesi).
Ieri sera, già nella prima serata, c’ era un certo ottimismo nello stato maggiore berlusconiano. Un ottimismo probabilmente determinato anche dalla sicurezza che Berlusconi ha sempre mostrato sull’ esito finale del voto. “Questa vittoria – ha spiegato ai suoi interlocutori – è la dimostrazione che chi amministra bene il paese è premiato anche a livello locale. Anche i sardi si sono accorti che a Roma c’ è un governo che governa e prende decisioni. Le quattro volte che sono andato in Sardegna in queste settimane mi sono limitato a dire quello che stiamo facendo anche per loro: abbiamo garantito ai sardi l’ insularità e risolto il problema del gasdotto in Algeria. Per affrontare la questione del Sulcis ho chiamato addirittura Putin. Questa è la politica del fare. Una filosofia che dovrebbero adottare i nostri alleati di governo. Abbiamo vinto sul Pd di Veltroni che ha rispolverato i vecchi argomenti di una volta. Ma anche contro chi come Soru aveva l’ ambizione di sostituirlo. Il problema è che questa sinistra – con le sue polemiche e le sue cattiverie – non ha una cultura di governo”.
Lo scenario che si apre nel Pd è imprevedibile. Il gruppo dirigente è in piena confusione. E anche l’ ipotetica alternativa Soru – caldeggiata anche nel mondo dei media vicini al centrosinistra – è venuta meno. Veltroni rischia di finire sul banco degli imputati prima del previsto. Come spiegava qualche settimana fa un personaggio mite come Pierluigi Castagnetti il Pd potrebbe cambiare leader prima delle Europee. I segnali ci sono tutti. Il movimentismo di D’ Alema negli ultimi tre giorni è diventato spasmodico. Alla vigilia del voto l’ ex premier ha sparato contro Emma Marcegaglia proprio quando il leader Pd stava tentando di stipulare una tregua con la Confindustria. Lo stesso giorno ha appoggiato il competitor di Veltroni alla guida del Pd, Bersani. E, ancora ieri, ha demolito la politica dell’ attuale numero uno dei democratici, sconfessando l’ idea di un Pd autosufficiente. Insomma, Veltroni ora deve decidere: continuare a resistere, sapendo che le Europee potrebbero segnare una sconfitta storica per il Pd, trasformandosi in una pietra tombale per tutte le sue ambizioni politiche, presenti e future; o giocare in anticipo, dimettendosi ora e accusando i suoi avversari di aver sabotato la sua linea politica.
Qualunque strada scelga, non deve ripetere l’ errore che ha commesso nell’ ultima settimana, quando per risollevare le sorti del Pd ha riproposto il vecchio schema della resistenza sotto l’ icona di un personaggio impopolare come Oscar Luigi Scalfaro contro il Cavaliere nero che vuole attentare alla Costituzione e alla libertà del paese. Una formula trita e ritrita e inefficace con la quale Veltroni ha archiviato di colpo il Veltroni “pieno di speranze” del Lingotto.
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