Tengenti a Pescara: Il PD contro i giudici

di isayblog4 31 views0

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Mentre infuriano le polemiche sull’inchiesta sulle presunte tangenti al comune di Pescara, la Cassazione interviene per affermare che l’indagine non è minata dalla scarerazione del sindaco Luciano D’Alfonso.

Le polemiche: Pd contro i giudici. «Si tratta di una vicenda grave, e Veltroni ha fatto bene a definirla così». Il ministro della Giustizia del governo ombra del Pd Lanfranco Tenaglia commenta così, in un’intervista a Sky Tg24, la vicenda del sindaco di Pescara finito agli arresti domiciliari per qualche giorno e poi liberato. Il gip di Pescara Luca De Ninis infatti due giorni fa, dopo l’interrogatorio di garanzia e le dimissioni del “primo cittadino”, ha deciso di scarcerare l’ex sindaco Luciano D’Alfonso per il quale aveva convalidato, nove giorni prima (il 15 dicembre), gli arresti domiciliari.

«Forse – sottolinea Tenaglia – sarebbe stata necessaria più prudenza nell’emettere i provvedimenti di custodia cautelare, anche perché ci sono state conseguenze gravi, come le dimissioni del sindaco di Pescara. Quando prendono questo tipo di decisioni, i magistrati devono agire con prudenza e rispetto delle procedure». «Ora – aggiunge l’esponente dei democratici – ai magistrati chiediamo di fare presto, perchè i cittadini hanno diritto di sapere presto quello che è accaduto a Pescara e quale sarà il destino della giunta».

Le intercettazioni telefoniche vanno mantenute per i reati contro la pubblica amministrazione , ma i magistrati non devono «appiattirsi» troppo sul ricorso a questo strumento di indagine, ha poi sottolineato Tenaglia. «Il presidente del consiglio – dice Tenaglia – vorrebbe che le intercettazioni restassero solo per i rati gravissimi. Noi invece diciamo che devono restare anche per i reati contro la pubblica amministrazione. Ricordiamoci che alcuni fatti, come lo scandalo della clinica Santa Rita di Milano o quello dei “furbetti del quartierino”, non sarebbero mai venuti alla luce senza il ricorso alle intercettazioni». Tenaglia aggiunge però che «la polizia giudiziaria e la magistratura sono troppo appiattite sulle intercettazioni, che spesso vengono pubblicate tempestivamente e che poi non reggono al vaglio dei riscontri».

Sulle intercettazioni, il Pd non è da solo. Anche la Lega e An non vogliono che con l’acqua sporca si butti anche il bambino. Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia della Camera ed esponente del partito di Gianfranco Fini, dice che bisognerà fissare alcuni «paletti», ma che «deve essere in astratto possibile usare le intercettazioni per i reati di corruzione e contro la pubblica amministrazione».

«La valutazione del Pd è condivisibile – dice il capogruppo Pdl alla camera Fabrizio Cicchitto – ma dovrebbe essere retrodatata, perché dal ’94 in poi di episodi così ce ne sono stati molti, ma riguardavano altre parti politiche».

L’Anm: scarcerare non è scandalo. Alle critiche del Pd ha replicato il segretario dell’Anm Giuseppe Cascini durante una intervista a Sky. «Trovo singolare che si discuta tanto di aspetti relativi alla decisione del giudice di scarcerare, come se la rivalutazione delle esigenze cautelari fosse uno scandalo, e si trascura il fatto che secondo il giudice sussiste un quadro di indizi grave», ha affermato Cascini.

Secondo Cascini, invece, la politica dovrebbe interrogarsi su cosa accade «nelle amministrazioni comunali». «Purtroppo il ripetersi di inchieste giudiziarie sul fenomeno della corruzione – ha continuato il segretario dell’Anm – denuncia solo una cosa: che la corruzione è diffusa nel Paese» ed è un problema generale che «non può essere affidato solamente alla magistratura».

«Ora è peggio di Tangentopoli». «La corruzione in Italia è più che diffusa, la situazione è più grave di quella di Tangentopoli», ha detto ancora Cascini. «La corruzione è più diffusa, capillare e più fuori controllo. Quella di Tangentopoli – ha aggiunto – era una corruzione governata dai partiti» e, paradossalmente, più controllabile, mentre «oggi è lasciata alla libera intrapresa dei singoli e in particolare al settore imprenditoriale che in qualche modo è più forte della politica. È un cancro molto serio rispetto al quale la politica troppo tempo ha perso ad interrogarsi sulle ragioni. Il rischio è che si continui ad interrogarsi sui magistrati che la corruzione disvelano e puniscono».

«La solidità dell’inchiesta sulle presunte tangenti al comune di Pescara, per gli appalti pubblici, non viene assolutamente minata dalla decisione del gip di revocare l’ordinanza di carcerazione, agli arresti domiciliari, nei confronti dell’ex sindaco – è il parere che filtra dalla Cassazione per bocca di un autorevole sostituto procuratore generale di Piazza Cavour -: l’indagine non è campata per aria, il fatto del passaggio illecito di denaro resta confermato. Rientra nella normale dialettica processuale allentare le misure di sicurezza dopo un interrogatorio di garanzia nel quale l’indagato ha fornito chiarimenti, dopo essersi anche dimesso dall’incarico».

«Certamente il gip avrebbe anche potuto riqualificare l’imputazione passando dall’ipotesi della corruzione a quella, meno grave, dell’illecito finanziamento ai partiti che lui stesso sembra indicare nell’ordinanza di scarcerazione, anche se non mettendolo nero su bianco. Il gip non è infatti obbligato a rimanere inchiodato al parere del pm». «Tuttavia – prosegue l’alto magistrato – è anche vero che il gip doveva esprimersi solo sull’opportunità o meno di mantenere la custodia per D’Alfonso. Sarà il momento dell’udienza preliminare quello nel quale ufficialmente, ed eventualmente, il gip nei panni di gup, potrà chiedere la riqualificazione del reato». Una cosa è però certa, «nel lavoro finora svolto dal gip non c’è stata nessuna plateale approssimazione o leggerezza, c’è solo stato ovviamente più clamore perchè l’indagine non riguarda “mario rossi” ma il sindaco di una città». Il Pg ricorda infine che la Procura retta da Nicola Trifuoggi – che nel 1984 fu uno dei tre “pretori d’assalto” ad oscurare le tv di Silvio Berlusconi che aggiravano il divieto di trasmettere su scala nazionale – «porta avanti inchieste fondate, come dimostra lo sviluppo di quella sulle tangenti nella sanità abruzzese».

L’ordinanza del gip del Tribunale di Pescara, Luca De Ninis, con la quale sono stati revocati alla vigilia di Natale gli arresti domiciliari all’ex sindaco di Pescara conferma e «sotto taluni aspetti rafforza» il quadro accusatorio nei confronti di D’Alfonso, libero grazie alle dimissioni, giudicate come «apprezzabile segnale di sensibilità istituzionale». Nel documento il gip ripercorre il lavoro svolto dal pm, Gennaro Varone – che si era però opposto alla revoca della misura cautelare – sottolineando di condividerlo «integralmente»: la decisione di revocare gli arresti domiciliari è dettata dal fatto che le dimissioni del sindaco «inducono a rivalutare il giudizio sulla sussistenza di inderogabili esigenze attinenti alle future acquisizioni investigative».

Secondo De Ninis rassegnando le dimissioni D’Alfonso avrebbe anteposto le «esigenze di accertamento giudiziario e di trasparenza dell’azione politica al proprio interesse personale, con evidente e notevole sacrificio del secondo in favore delle prime». Se dunque il preannunciato gesto poteva apparire funzionale «a prevenire l’applicazione della misura cautelare», il previsto commissariamento del Comune, conseguente alle dimissioni, «determina un ulteriore indebolimento della rete di rapporti intessuti da D’Alfonso» nell’esercizio della «capacità di manipolare persone informate e documenti».

Tale considerazione del magistrato potrebbe incidere sulla opportunità di ritiro delle dimissioni, cosa che D’Alfonso potrebbe fare, in teoria, entro il prossimo 5 gennaio: a chiederlo sono soprattutto alcuni sostenitori dell’ex sindaco, ma in base alle valutazioni del gip tale eventualità appare, al momento, abbastanza remota. De Ninis ricorda che l’imprenditore Massimo De Cesaris in sede di interrogatorio ha rafforzato «l’originaria prova a sostegno del sinallagma della corruzione»: ha ammesso – si legge nell’ordinanza – «di aver operato versamenti (leciti e registrati)» in favore «del sindaco D’Alfonso e del suo partito politico, allo scopo di agevolare l’ottenimento di lavori dal comune di Pescara, che da anni non forniva commesse alle sue imprese».

«Non si è mai detto che l’arricchimento personale o privato sia elemento costitutivo della fattispecie della corruzione – prosegue il Gip -, ma solo che esso può essere valutato come elemento di prova del fatto che i contributi illeciti ai partiti costituiscano anche remunerazione dei pubblici ufficiali per compiere atti contrari ai doveri d’ufficio». Quindi, «in un contesto in cui i contributi al partito» sono «assai diffusi tra gli imprenditori contraenti con il Comune», il Gip ritiene «compiuto l’esercizio distorto del potere anche in relazione al conferimento di incarichi discrezionali non altrimenti contestabili».

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