L’intervento di Pier Pedinando Casini pubblicato su ‘La Stampa’.
Caro direttore, nel pieno della crisi dei mercati gli occhi del mondo sono stati puntati sul parlamento statunitense. Con un approccio che prescindeva dalla loro collocazione partitica e cercando di interpretare le ansie dei loro elettori, i membri del Congresso sono stati reali protagonisti della decisione sul piano Paulson.
Il paragone con lo stato attuale di salute del Parlamento italiano è sconfortante. Sotto il giogo di continue questioni di fiducia, poste spesso su maxiemendamenti, parlamentari eletti in liste bloccate confezionate dai vertici di partito (perché a suo tempo fu respinta la proposta dell’UDC di tornare alle preferenze), convertono disciplinatamente in legge i decreti del governo.
Le nostre camere sono ridotte al ruolo di organo di mera ratifica: il dibattito è strozzato e la possibilità di incidere sui testi legislativi ridotta, se non inesistente.
Si dirà: ma quello presidenziale è un sistema completamente diverso dal nostro, che è parlamentare e basato sul continuum governo-maggioranza.
Negli Stati Uniti il Congresso non è legato al presidente dal rapporto di fiducia e perciò è più libero nella sua azione che può anche contrapporsi a quella presidenziale. Tutto vero.
Resta però il fatto che nessun sistema democratico può permettersi di deprimere il ruolo del parlamento pena lo smarrimento dei suoi stessi fondamenti democratici.
Presi dalle polemiche interne, a molti forse è sfuggito che in Francia questa estate si è realizzata un’importante riforma costituzionale e che uno dei suoi capitoli più significativi è stato il rilancio del Parlamento.
È stata rivalutata la funzione legislativa ed è stata rafforzata la funzione di controllo. Non abbiamo ancora elementi per poter giudicare queste innovazioni, ma è ben chiaro il senso di marcia è opposto a quello cui è indirizzato l’attuale funzionamento delle nostre istituzioni.
In Italia il presidente del Consiglio dichiara di voler governare per decreti e il presidente della Repubblica è costretto a richiamarlo al rispetto della Costituzione.
Anche riguardo alla Francia immagino l’obiezione. In quel sistema il governo ha estesi poteri normativi e prerogative forti in Parlamento.
Può determinare l’ordine del giorno delle camere e può ottenere una rapida approvazione dei suoi progetti di legge. E’ giusto, ma io dico che a questo punto è necessario avviare un serio dibattito sulle procedure parlamentari e uscire dagli equivoci di una situazione che consente di fatto al governo di spadroneggiare nelle camere.
Si studi la possibilità di dare al governo una maggiore certezza dei tempi di esame delle sue iniziative, ma si salvaguardi il diritto del Parlamento di poterle adeguatamente valutare e di prospettare soluzioni alternative prima di giungere al voto.
Questo diritto è oggi vanificato dal mix questione di fiducia-maxiemendamenti. Ogni ragionevole soluzione passa attraverso la strada di un divieto dei maxiemendamenti.
Siamo aperti alla discussione e al confronto, oggi come in ogni occasione in cui si è discusso di riforme istituzionali.
Un punto ci appare tuttavia pregiudiziale: una riforma dei regolamenti parlamentari non può essere l’occasione per una forzatura nel senso del cosiddetto modello Westminster ovvero della creazione di un quadro di regole adatto a un sistema bipartitico.
Il bipartitismo non esiste nei fatti della realtà politica italiana che è molto più articolata e complessa.
Tentare d’imporlo con delle norme sarebbe sbagliato e improduttivo. Mi riferisco evidentemente alle questioni dello statuto dell’opposizione e del governo ombra in Parlamento.
Non si può pretendere di trapiantare istituti che in altri sistemi politici sono il frutto di evoluzione secolare in un contesto non adatto a recepirli.
La nostra Costituzione è basata sul principio della tutela delle minoranze non su quello del riconoscimento di una sola opposizione cui conferire particolari diritti in Parlamento.
Il pluralismo partitico è stato un segno distintivo del nostro sistema e continua a esserlo. Se è giusto evitare la frammentazione, non vedo ragioni per forzature contrarie alla nostra tradizione e alla realtà. Pur non nascondendomi le innegabili novità delle ultime elezioni politiche, un bipartitismo italiano non esiste e mi pare ancora lontano dall’affermarsi.
Non vorrei sembrare pedante, ma è utile ricordare che nel maggioritario sistema della V repubblica francese la revisione costituzionale di luglio, nel delineare uno statuto dell’opposizione, ha esplicitamente previsto che i regolamenti parlamentari devono riconoscere specifici diritti ai gruppi di opposizione.
Siamo pronti a migliorare il nostro assetto istituzionale, non a stravolgerlo.