Tremonti: Lo Stato non gestirà le banche

di isayblog4 20 views0

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Il testo integrale dell’intervento di Giulio Tremonti svolto alla Camera dei Deputati il 9 ottobre 2008 sugli sviluppi della crisi finanziaria.

Signor Presidente, onorevoli colleghi,
inizio il mio intervento con un flash-back. L’evidenza della crisi finanziaria in Europa e l’avvio della gestione politica della crisi finanziaria, così come si è manifestata in Europa, è databile al 26 settembre di quest’anno, a Bruxelles, in sede di Economic financial stability committee. Queste è la sede nella quale inizia la considerazione e la gestione della crisi finanziaria in Europa.
Infatti, è dal 26 settembre che prende avvio un continuo di iniziative e di contatti sistematici a livello tecnico, diplomatico e politico, ogni giorno, spesso molte volte nello stesso giorno, per i Paesi europei parte del G8 e anche verso la più ampia comunità internazionale. Non tutto, ma molto, e comunque tutto il possibile, è stato coordinato, pur essendo la crisi – così come si è manifestata e si sta manifestando in Europa – fortemente segmentata e differenziata nelle forme e nelle sedi geografiche in cui si è manifestata, in forme parzialmente diverse da quelle che sono evidentemente tipiche della crisi americana, molto differenziate sul continente europeo per area geografica e per struttura economica propria dei diversi Paesi delle diverse aree.

Abbiamo ormai abbastanza chiaro cosa è successo in America, ma non è ancora evidentemente chiaro il carattere proprio e tipico della crisi finanziaria in Europa, che è proteiforme e segmentata. Nella dimensione nordica, in tutta la fascia che possiamo definire scandinava, la crisi ha avuto il suo epicentro in Islanda e si è irradiata verso est, nei Paesi nordici, e alla fine ha prodotto un effetto molto forte nella City di Londra. Nel blocco continentale europeo, dal Benelux ad altri Paesi, la crisi ha avuto manifestazioni diverse ancora. In parte vediamo istituzioni finanziarie e banche che evidenziano attivi non esistenti, indebitamenti contratti per assumere dimensioni tipiche del gigantismo, e banche locali che hanno acquistato attivi ad elevato, seppure incerto, rendimento per retrocedere e per servire sul mercato rendimenti altrettanto elevati.

In Spagna la crisi, attesa ed evidente nella costituzione di un fondo ad hoc, ha origine nel settore immobiliare, prevalentemente. L’Inghilterra è l’epitome di tutti i fenomeni che caratterizzano questa crisi e molto, quasi tutto, si concentra nella City di Londra.
È ancora incognito quanto può accadere e sta accadendo nella fascia che va dal Baltico ai Paesi meridionali dell’est Europa. Rispetto a questa fenomenologia di crisi l’Italia non presenta particolari anomalie. Ho avuto occasione di dire in questo Parlamento che un carattere proprio del sistema bancario italiano, nel quale si conosce poco, salvo alcune encomiabili eccezioni, la lingua inglese (verbatim ripeto il mio intervento di allora), lo hanno in qualche modo preservato, in un suo carattere meno progredito, meno avanzato, meno sofisticato, dagli elementi di crisi che vediamo in altri Paesi europei. Riconosco la convergenza su questa valutazione da parte del mio predecessore, che ha definito più elegantemente il sistema italiano come più robusto, ed è esattamente così. In questo scenario, fortemente diversificato, seguendone l’evoluzione, comunque, l’Europa ha gestito la crisi nelle forme più coordinate possibili, ed è così che si arriva alla prima settimana del corrente mese. Inizia la concentrazione degli interventi con il vertice di sabato all’Eliseo, un vertice che è stato composto tanto in una logica G8 (i quattro Paesi europei parte del G8), quanto con un’estensione propriamente e tipicamente europea (la presenza del Presidente della Commissione, la presenza del presidente dell’Eurogruppo). In questi termini si era in qualche modo prefigurato un nucleo duro e più concentrato del sistema europeo, senza che questo nucleo abbia comunque modificato, anzi forse ha determinato, il sistema europeo più vasto, a 27.

In quella sede è stata formulata un’ipotesi, originata in parte dall’Olanda, non esclusa, anzi, considerata in termini tecnici dalla Commissione, di una risposta europea simmetrica a quella americana: un fondo europeo. Avrebbe dovuto operare diversamente dal fondo americano: il fondo americano opera acquisendo attivi di critica consistenza, nello schema proposto dall’Olanda quel fondo non avrebbe dovuto intervenire rilevando gli attivi delle banche, ma all’opposto sul passivo, sull’equity, con interventi di capitalizzazione delle banche.

Abbiamo – il Governo italiano, il Presente del Consiglio italiano, il Presidente della Repubblica francese – considerato in termini positivi quella ipotesi, non solo e non tanto per i suoi aspetti tecnici, quanto e soprattutto per il suo profilo di messaggio politico. L’idea, comunque, alla base era: due più due fa cinque. Non è solo questione di quantità di denaro impegnato nell’operazione, ma anche di modalità di messaggio e di scelta politica. Dietro quel disegno c’è una logica lungimirante; se posso fare un parallelo, su scala meno drammatica e diversa, è un po’ la logica che assiste la legge affitti e prestiti, quando Roosevelt dice: se la casa del tuo vicino brucia, forse ti conviene dargli l’estintore.

Può essere che tu rischi di perdere l’estintore, ma è peggio perdere l’estintore o è peggio perdere la tua casa? Sarebbe stata una scelta lungimirante, ma la politica reale in atto nel continente ci impone di considerare che abbiamo il mercato comune, ma non abbiamo ancora una politica comune. Verrà il tempo anche per quella, ma il tempo presente è un tempo che impone scelte più pragmatiche, meno organiche. Ed è in questi termini che al vertice dell’Eliseo si definisce una strategia di intervento che è sostanzialmente basata sul coordinamento tra i Paesi. Dato il comune obiettivo, gli strumenti e gli interventi saranno articolati per country, Paese per Paese, tuttavia rispondendo ad uno schema di azione comune: mezzi diversi, ma dato un comune fine. È in questi termini che abbiamo comunque in sede di Eurogruppo e di Ecofin sostenuto la proposta finale. L’essenza del passaggio che avviene tra lunedì e martedì è questa: ancora domenica gli aiuti di Stato fatti per salvare le banche erano vietati; da lunedì e martedì gli aiuti di Stato per salvare le banche sono permessi. Si è passati dalla logica del divieto alla logica del permesso, naturalmente preservando gli elementi della concorrenza, della struttura a livello coerente e conforme al mercato, ma fondamentalmente vi è stata la decisione comune della Commissione e del Consiglio di procedere nella logica degli interventi.

Il passaggio fondamentale della delibera adottata il 7 ottobre dal Consiglio dell’Unione europea è che, per proteggere gli interessi dei depositanti e la stabilità del sistema, si sottolinea l’appropriatezza di un approccio che include, tra altri mezzi, la ricapitalizzazione delle istituzioni finanziarie vulnerabili e si segnala un manuale di intervento in questi casi. Si passa dalla logica dello sfavore per l’intervento pubblico alla logica del favore per l’intervento pubblico mirato al sostegno sistemico delle banche. Il manuale include la raccomandazione per interventi che debbono essere istintivi, ma solo temporanei, e la raccomandazione alla tutela dell’interesse del contribuente il cui denaro viene impiegato nelle banche. Di riflesso, se il capitale viene impiegato nelle banche ciò non può essere fatto a sostegno dei manager che hanno sbagliato nella gestione delle banche stesse. È in questi termini la possibilità per il Governo di intervenire sui consigli di amministrazione e una serie di altre raccomandazioni, tra cui quella a non attribuire ai manager delle banche compensi indebiti.

È sulla base della delibera di Ecofin del 7 ottobre che ciascun Paese ha poi articolato, al suo interno, in funzione della sua situazione e della sua legislazione, gli interventi ritenuti necessari per assicurare nel più breve tempo possibile il più forte grado di stabilità sistemica propria. Ed è in questi termini che è stato formulato e approvato dal Consiglio dei ministri di ieri il decreto-legge. Noi crediamo che questo intervento sia stato fatto assolutamente in tempo e che sia assolutamente in linea con quanto deciso in sede europea.
Eppure abbiamo sentito tante volte l’invito (comprensibile da un certo punto di vista): cosa fate, siete in ritardo, non fate niente. Era impossibile fare qualcosa al di fuori dallo schema europeo, è stato possibile farlo a valle del Consiglio dell’Unione europea di lunedì e di martedì. Sarebbe stato forse anche possibile nazionalmente, ma un atto unilaterale non sarebbe stato nell’interesse nazionale. L’intervento di ieri è assolutamente in linea con le raccomandazioni che abbiamo convenuto di attribuire da un Governo all’altro tutti insieme, in sede di Ecofin.

Il decreto-legge di ieri ha tre obiettivi fondamentali: la stabilità nel sistema bancario, la liquidità per l’economia, la fiducia dei risparmiatori. Quanto alla stabilità del sistema finanziario e bancario, noi abbiamo ben chiaro quanto disposto nell’articolo 47 della Costituzione: la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio; ne disciplina le forme di esercizio. Fare attività di banca non è come svolgere un’attività industriale qualsiasi: il denaro non è una qualsiasi commodity, il risparmio è un bene pubblico. C’è una soglia oltre la quale la gestione del risparmio diventa forma di esercizio di un’attività che è oggetto del diritto pubblico. Nei limiti in cui è possibile tutto va svolto e deve essere svolto in termini di mercato, ma c’è una soglia oltre la quale rileva anche l’interesse pubblico.

È questa la logica di alcune delle norme del decreto-legge: se in una banca si manifestano elementi di non sufficiente integrazione dei ratios patrimoniali di Banca d’Italia, se quella banca ritiene di essere sotto quei ratios o se la Banca d’Italia ritiene che quella banca sia sotto quei ratios, un’azione comune della banca e della Banca d’Italia porta ad una valutazione del caso. Se il mercato è in grado di servire a quella banca il capitale necessario, la patrimonializzazione necessaria, l’intervento si esaurisce in questi termini, altrimenti insieme la banca e la Banca d’Italia chiedono al Governo un intervento sul capitale. L’intervento sul capitale non è previsto ex ante, sarà – pensiamo e speriamo che non debba essere necessario – solo caso per caso. Ed è questa la ragione per cui non abbiamo predeterminato cifre in ordine agli interventi.

Come è stato detto durante questa crisi, nei casi più fortunati di intervento: quanto basta. Non è nell’interesse del Paese che una banca fallisca, è nel potere del Governo evitare che una banca fallisca. Quando c’è bisogno di capitale il Governo mette capitale, e non lo fa per ritornare – la politica e il Governo – nelle banche, lo fa per una ragione diversa, di generale interesse pubblico. Il capitale nelle banche non sarà un capitale attivo nella gestione, sarà un capitale che esaurisce il suo ruolo nella forma e nel tipo delle azioni privilegiate, azioni che non hanno diritto di intervento diretto. L’unica cautela è quella che viene prevista nella delibera del Consiglio dell’Unione europea: se usi il denaro del contribuente che sia usato bene, per far andare la banca e non per conservare il posto a chi ha sbagliato.
L’intervento sarà comunque temporaneo e l’esperienza storica ci indica che questi interventi, se operati in un modo corretto (noi pensiamo che non sarà necessario, ma nel caso sarà trasparente e corretto) alla fine hanno un ritorno per il contribuente.

Se la banca viene risanata e se esci da una banca risanata, porti a casa più capitale di quello che ci hai messo dentro: questo è nell’esperienza storica. In secondo luogo vi è la liquidità, che è uno degli elementi fondamentali nell’economia politica del sistema; le banche servono per fornire liquidità al sistema produttivo, all’economia. Nell’articolo che abbiamo approvato ieri nel Consiglio dei ministri, contenuto nel decreto-legge, si prevede che in coordinamento con la Banca d’Italia siano attivate delle linee speciali di assistenza nello schema degli interventi previsti dall’eurosistema, in gergo si chiamano ELA. Tuttavia, nel corso della discussione preparatoria del decreto-legge approvato ieri è intervenuta una delibera della Banca centrale europea, che proprio ieri pomeriggio ha modificato radicalmente le sue forme di intervento. Infatti, avendo constatato che nel progredire della crisi alla quantità di liquidità immessa nel sistema non corrispondeva la circolazione della liquidità nel sistema, quindi avendo constatato che il sistema era punto-punto (ossia il passaggio si verifica dalla Banca centrale europea alla banca beneficiaria senza circolazione nel sistema della liquidità), avendo dunque constatato questo effetto che è tale da rendere insufficiente la gamma di interventi realizzati dalla BCE, la politica della BCE ieri è radicalmente cambiata, o perlomeno questo ci ha comunicato ieri il presidente della Banca centrale europea durante l’Ecofin, in teleconferenza. Credo che la decisione del Consiglio della BCE sia uscita in queste ore però il senso è: non più interventi di liquidità organizzati nella logica delle aste statutarie, sistemiche, ma comunque nelle aste, ma «a rubinetto»; quantità illimitate quanto basta, garanzie diverse da quelle finora richieste su limitate tipologie di collaterali e particolare enfasi sull’elemento temporale; non conta solo la quantità di denaro che immetti nel sistema, ma anche la temporalità, non solo quanto ma anche fino a quando.

La logica della decisione di ieri della Banca centrale europea è di stressare, di evidenziare la non istantanea temporalità delle immissioni di liquidità più a lungo possibile, comunque scavallando la scadenza del 2008. La richiesta avanzata dai Governi ieri in teleconferenza è stata quella di inserire almeno la parola «un anno». Alcune difficoltà tecniche, forse superabili, ci porteranno ad un sistema di somministrazione di liquidità più strutturato di quanto è stato finora; diversamente, potrà essere considerato nell’interesse del sistema italiano un criterio di liquidità com’è nel provvedimento presentato dal Governo inglese, un sistema per cui una banca che è reggibile, che non ha problemi di patrimonio ma che, tuttavia, ha problemi di liquidità può acquistare delle garanzie per finanziarsi (ma questa è tra parentesi quadrate).
C’è stato chiesto di riflettere su questo in attesa degli effetti della modifica di intervento della Banca centrale europea, e del monitoraggio degli stessi, ed è quello che abbiamo fatto, nell’attesa, nella prospettiva e nell’aspettativa positiva, che il nuovo sistema della BCE funzioni nella logica strutturale della liquidità.

In terzo luogo, la fiducia è una componente essenziale del sistema. Il sistema italiano ha il più stabile e strutturato sistema di garanzie sui depositi: eravamo già sotto la soglia che il Consiglio europeo del 7 ottobre ha raccomandato a tutti i Paesi europei; L’Italia era già sopra quella soglia europea. Siamo in attesa della disciplina europea di questa materia, che sarà approntata al più presto dalla Commissione. Abbiamo, comunque, ritenuto opportuno aggiungere alla garanzia mutualistica in essere l’integrale garanzia pubblica. In ogni caso, però – torno al punto di partenza – non è questo il tema centrale: noi pensiamo che non esista in assoluto, in radice, un problema sui depositi bancari, perché escludiamo il fallimento delle banche. Lo facciamo con gli interventi che abbiamo illustrato prima sul capitale.
È stato necessario approvare un decreto-legge, che in altri Paesi non è stato necessario: in altri Paesi, gli interventi sul capitale delle banche – che in alcuni casi, coraggiosamente, vengono definiti nazionalizzazioni e in altri, più eufemisticamente, ricapitalizzazioni o interventi patrimoniali (ma comunque sotto la regia pubblica) – sono stati operati senza modifiche legislative, perché quei Paesi consentivano l’ingresso dei tesori nel capitale privato senza modifiche legislative. Così è stato in molti Paesi europei. Nel nostro Paese, d’accordo con Banca d’Italia, abbiamo ritenuto che fosse necessaria una disciplina legislativa della relativa procedura.

La situazione attuale è la seguente: già a luglio – ben prima che arrivasse la notizia o l’evidenza di una crisi finanziaria in Europa – il Governo e il Tesoro hanno tenuto la prima riunione operativa del Comitato per la stabilità finanziaria, che prevede il coordinamento tra il Governo e le autorità di vigilanza. In quella sede abbiamo cominciato, in modo coordinato, collaborativo e assolutamente fiduciario, a lavorare insieme con Banca d’Italia, Consob e Isvap. I lavori sono proseguiti a partire da quella prima riunione e, da ultimo, sono lavori continui, tanto a livello di membri del Comitato quanto a livello di uffici del Comitato stesso.

Credo che sia necessario ripetere quanto ho affermato in un precedente, pur breve, intervento in quest’Aula: abbiamo ricevuto dalle autorità di vigilanza competenti – Banca d’Italia, Consob e Isvap – dati secondo i quali, a giudizio delle autorità medesime – e noi abbiamo ragione fiduciaria di ritenere che ciò sia anche secondo il nostro parere -, il sistema finanziario italiano ha un sufficiente grado di capitalizzazione e di liquidità. Se ci sarà bisogno di interventi, essi saranno operati in base al decreto-legge citato, che tuttavia, ripeto, è stato approvato non nella logica dell’azione, ma solo nella logica della precauzione. Ringrazio anche per l’attenzione che, da ultimo, ha riservato a questo tema l’attività del Governo e ringrazio anche l’opposizione.

Più in generale – nel senso degli indirizzi di politica economica – il Consiglio europeo del 7 ottobre ha confermato l’applicazione del patto di stabilità e di crescita, pur con la specifica che la sua applicazione deve riflettere le correnti eccezionali circostanze. L’eccezionalità eventuale di circostanze è già parte ex ante del patto di stabilità e di crescita. In sede di Consiglio europeo, abbiamo confermato – e confermiamo ancora – la logica e l’impegno del nostro Governo a rispettare il Patto di stabilità e di crescita. Svolgo una considerazione più generale, che sintetizza un po’ quello che noi vediamo: con il Patto, che è parte dell’architettura istituzionale dell’Europa, e con tutti i cambiamenti monetari e politici che ne sono derivati, alla base e alla radice c’è stato per tutti i Paesi una specie di investimento. Su quello schema, la Germania ha ottenuto l’unificazione, su quello schema la Francia ha ottenuto la conservazione di alcuni elementi della regolamentazione europea che erano propri e caratteristici della sua economia e della sua società, dall’agricoltura alla proiezione di potere amministrativo e legislativo. L’Italia, in quella sede, ha ottenuto un effetto fondamentale: ha consolidato, dentro un sistema europeo più forte, il suo enorme debito pubblico.

Noi non abbiamo ragione per ritenere che quel tipo di investimento sia da considerare superato o superabile. Noi vediamo l’interesse nazionale nella conservazione degli elementi del patto di stabilità e di crescita. Ci sono state molte discussioni da parte mia, di varie origini, ma – lo ripeto – non tanto sulla logica in sé del Patto, quanto sulla modalità, sulla tempistica e su tanti altri fattori. Fondamentalmente, però, è interesse della Repubblica italiana la conservazione del Patto di stabilità e di crescita. Si potrebbe dire che adesso non c’è più, che è allentato. Si presume e si dice che l’applicazione sarà un po’ meno specifica di come è stata finora. Può darsi, può essere non negativo, ma non è il caso della Repubblica italiana. Per noi il problema non è tanto quello del Patto di stabilità e di crescita, ma quello del debito pubblico. Noi abbiamo il terzo debito pubblico del mondo, non siamo la terza economia del mondo e non viviamo in un mondo nel quale avere il terzo debito pubblico del mondo ti consente di essere fuori dal mondo. È questa la ragione per cui, sotto questo vincolo, non consentiamo, non condividiamo e non facciamo politiche, pur basate su logiche sociali o economiche per certi versi condivisibili, di deficit pubblico. Non possiamo assolutamente fare politiche di deficit pubblico nazionale.

L’unica politica di sostegno e di rilancio all’economia può esser una politica di domanda pubblica, organizzata solo su scala e nella dimensione europea. È questa la ragione per la quale il Governo italiano ha chiesto e ottenuto l’avvio di studi per organizzare domanda pubblica per infrastrutture pubbliche, mettendo insieme le risorse presenti nelle casse depositi e prestiti nazionali con la Banca europea per gli investimenti. Non vediamo alternative al rispetto del Patto di stabilità e di crescita. Mi avvio alla conclusione. La legge finanziaria, che è in discussione alla Camera, è stata strutturata, proiettata e stabilizzata su tre anni, ma è stata anticipata a luglio. Adesso forse è evidente quello che per noi era evidente già a luglio. Forse è evidente adesso la ragione di quella scelta, che alcuni hanno considerato una forzatura e che per noi era una scelta di sicurezza per beni che sono fondamentali nell’interesse nazionale. Pensate cosa sarebbe trovarsi adesso, nel pieno di questa crisi, senza una legge finanziaria, con i saldi finanziari aperti. Credo che sia uno scenario che tutti adesso possono considerare non positivo. È positivo, invece, nei limiti in cui è ragionevole considerare positivo qualcosa di questi tempi, considerare che la struttura dei conti pubblici è stata, per quanto possibile, messa in sicurezza e per tempo. È anche per questo che pensiamo di avere fatto tutto il possibile nell’interesse del nostro Paese.

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