D’Alema (PD): Discutiamo, ragioniamo sulle vie per la rivincita

di isayblog4 27 views0

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Quando Massimo D’Alema arriva alla Festa Democratica di Firenze sono da poco passate le 19. Nella sala Giorgio La Pira è in corso il dibattito tra il presidente della Camera Gianfranco Fini e Giuliano Amato. In men che non si dica una folla di fotografi, camerman e giornalisti circondano l’ex ministro degli Esteri. La gente di Firenze, che a quell’ora già affolla le vie della Fortezza da Basso, attende. D’Alema, prima di andare in libreria per presentare insieme a Vittoria Franco il bel libro di Marisa Rodano “Il mutare dei tempi”, fa un giro tra gli stand della Festa, come vuole la tradizione. Saluti, incitamenti, consigli, esortazioni.

Poco dopo le 21, quando la sala dibattiti è già strapiena (si parla di oltre 2mila persone sotto il tendone), Giovanni Floris e Massimo D’Alema fanno il loro ingresso in sala per l’attesa intervista serale. L’esponente democratico parte proprio da loro, della gente della Festa: “Mi sembra di poter riassumere gli inviti che ho ricevuto girando tra gli stand con l’espressione ‘diamoci una mossa’”. E giù applausi. Il pubblico è caldo, gli interlocutori anche. Floris chiede conto a D’Alema del ‘tuffo’ in mare dal gommone ritratto e pubblicato da Novella 2000, e lui risponde, ironico: “Apprezzo molto quel giornale e il modo in cui crea le notizie. Hanno pubblicato solo la parte finale di quanto accaduto. La stampa italiana va sempre vista con occhio critico”.

Le risate lasciano spazio al dibattito politico. Non si può che partire dai primi passi del governo Berlusconi e dalla sua (presunta) popolarità. “Non sono in grado di misurare la popolarità del governo – dice D’Alema in risposta alla domanda di Floris – ma so che Tremonti e Berlusconi si stanno muovendo con inconsueta abilità”. In pratica, “stanno fingendo di governare il Paese, ma in realtà non lo stanno facendo”. Da una parte stanno godendo della “buona situazione di governo ereditata dal centrosinistra”. Gli esempi più lampanti: la situazione di Napoli, “in cui Berlusconi non ha fatto altro che mettere in atto il decreto del governo Priodi”, e l’accordo con la Libia, “negoziato da noi e concluso da Berlusconi con un esborso di denaro pubblico pari a 5 miliardi di dollari”.

Dall’altra parte ci sono i bluff, che rischiano di trasformarsi in veri e propri disastri. Da Alitalia, per la quale “dal punto di vista politico e di mercato si sta prospettando una situazione molto grave”, alla Finanziaria, “in cui il governo prima taglia indiscriminatamente i servizi essenziali dei cittadini, come scuola e sanità, e poi scarica le proprie responsabilità sugli enti locali. Tremonti si muove come se stesse sempre in campagna elettorale. Non toglie soldi ai cittadini, ma alle regioni che guarda caso sono amministrate in gran parte dal centrosinistra. In questo modo non perde popolarità”. Non è questo, sicuramente, il modo per risolvere i problemi del Paese, “che finirà per pagare un prezzo molto alto” per questo tipo di politica.

Per contrastare tutto questo, in un contesto atipico di “democrazia anormale” come è quella italiana in cui il “potere mediatico, economico e politico è concentrato nelle mani di una sola persona”, non basta “una leggina”. Né il Partito Democratico può limitarsi a denunciare quanto sta accadendo. “Anche tenendo conto della fallimentare esperienze di governo del centrosinistra, una grave responsabilità che ci portiamo dietro, dobbiamo lavorare per costruire un’alternativa credibile. Non dobbiamo avere fretta, dobbiamo portare avanti una fase di riflessione non tanto per interrogarci sulle ragioni della sconfitta, quanto più per ragionare sulle vie per la rivincita”.

Secondo D’Alema, “ora bisogna portare a compimento la costruzione di questo partito, riallacciare un rapporto, un contatto con il popolo che da noi deve sentirsi più naturalmente rappresentato”. Sì, perché, “quel contatto con la parte profonda del popolo italiano, quella più sofferente, quella più esclusa, l’abbiamo perso. E per riconquistarlo – afferma – non servono interviste sui giornali o dibattiti tv. Serve un partito”. Un partito aperto, che concluda la fase di costruzione e radicamento con i circoli e che cominci “a discutere di politica”. Un partito in cui “se verrò chiamato a dare una mano, per aiutare e non per dare fastidio a qualcuno, non mi tirerò certo indietro”, assicura il “soldato semplice” – come lui stesso si definisce.

Un partito, insomma, che si radichi e che cominci a radicare un’alternativa nel Paese. “Dobbiamo guardarci intorno, alla nostra sinistra, dove c’è una sinistra radicale che ha sbagliato tanto, e al centro dove c’è una parte di mondo cattolico che non si è fatto assorbire dal berlusconismo”. Un partito che, al tempo stesso, non rifiuti e non sfugga al confronto parlamentare, che non ammaini la bandiera della battaglia politica. Dura, senza sconti, ma che metta al centro gli interessi del Paese. Come per la giustizia. D’Alema è chiaro: “Siamo pronti al dialogo, al confronto. Ma dobbiamo partire dai problemi dei cittadini (tempi della giustizia civile troppo lunghi) e non da quelli della ‘guerra’ tra politica e magistratura. Io sono contrario alla separazione della carriere, che non è comunque un priorità. Berlusconi sia arrabbia quando la giustizia funzione, i cittadini quando non funziona”.

Diverso è il discorso sulla sicurezza, in cui “si misura uno degli aspetto culturali meno accettabili della destra, che gioca con le paure dei cittadini”. L’esponente democratico ha parole durissime per “le trovate propagandistiche e pubblicitarie messe in campo dal governo, per l’estremismo” diffuso scientificamente tra i cittadini, “che ha spalancato le porte alla vittoria di Berlusconi”. D’Alema, in particolare, giudica “la trovata dei militari nelle strade (3mila soldati che non opereranno mai in più di 900 contemporaneamente in tutto il Paese) come uno dei momenti più bassi delle esperienze di governo che io conosca”. In questi mesi, nella destra, “c’è stata l’esibizione della durezza solo contro la povera gente. Al contrario, come sostiene Tony Blair, noi dobbiamo essere duri con il crimine e duri con le cause del crimine”.

Si parla di sicurezza, non si può non parlare di immigrazione. D’Alema parte da un dato: “Quando ci sono paesi ricchi e vecchi che confinano con paesi poveri e giovani, è ovvio che i primi siano interessati da flussi migratori in entrata. E’ un fenomeno inevitabile, che fa parte della storia del mondo. Un fenomeno che va governato. E’ sbagliato sottovalutarlo o così come è impossibile cercare di fermarlo. Va combattuta l’immigrazione clandestina e per questo va cambiata la legge Bossi-Fini”, che non ha fatto altro che produrne in quantità industriale. Se cresce la clandestinità, cresce anche la criminalità. E’ un dato di fatto. Così come è un dato che “tra gli immigrati regolari il tasso di criminalità è inferiore che tra i cittadini italiani”. E’ per questo che “ci vuole una politica più aperta e generosa per l’immigrazione legale. Sì alle espulsioni del clandestino che delinque, ma sì anche voto agli immigrati, ai ricongiungimenti famigliari: “Se il mio vicino di casa lavora, vota, e vive con la propria famiglia io mi sento più sicuro. E so di vivere in una società più giusta, dato che gli immigrati regolari rappresentano oggi lo strato sociale più umile. Ma che razza di democrazia è – conclude D’Alema – quella in cui i lavoratori manuali non hanno diritto di voto?”.

Applausi, una vera e propria ovazione. La gente si ammassa sotto il palco, chiede autografi. Un ragazzo, con in mano “l’Unità”, dice a D’Alema: “Abbiamo ancora tanto bisogno di te”. Il Partito Democratico deve riallacciare un contatto con il popolo, con la fetta più profonda del popolo. A cominciare dal ‘suo’ popolo. Serate come questa sembrano ottimi punti di partenza.

www.partitodemocratico.it

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