Il conflitto in Ossezia del Sud minaccia di estendersi all’altra regione separatista georgiana, l’Abkhazia, costringendo Tbilisi a fronteggiare un doppio fronte.
La Georgia, che ha proclamato oggi lo stato di guerra e medita di chiedere “un aiuto militare diretto della Comunità internazionale”, lancia allo stesso tempo una proposta di cessate il fuoco e “smilitarizzazione” della zona del conflitto.
Proposta per ora non raccolta dalla Russia, che accusa Tbilisi di “azioni barbare” e denuncia un massacro in Ossezia. I georgiani negano, e rilanciano accusando la Russia di avere fatto almeno 20 vittime nella città georgiana di Gori, a ridosso del confine con la repubblica separatista.
Tra accuse incrociate e incrociate smentite, la situazione sta precipitando verso una guerra dagli esiti imprevedibili e comunque già tragici, sino ad ora oltre 1500 il numero delle vittime e più 30mila gli sfollati.
“Costringeremo i georgiani ad accettare la pace”, ha dichiarato il presidente russo Dmitri Medvedev, mentre il ministro degli Esteri Sergey Lavrov ha lasciato intendere che tutto è possibile: “Non abbiamo mandato gli aerei a Tbilisi, ma nessun obiettivo è sicuro”, ha ammonito durante un briefing telefonico con i corrispondenti stranieri.
In serata il premier Vladimir Putin è arrivato da Pechino in Ossezia del Nord, repubblica che fa parte della Federazione russa, “per discutere misure di assistenza all’Ossezia del Sud, in connessione con i gli eventi in corso”.
Il parlamento georgiano ha votato all’unanimità la proclamazione dello stato di guerra richiesta per decreto dal presidente Mikheil Saakasvhili. Decreto valido per 15 giorni, che permette il richiamo di tutti i riservisti dell’esercito e l’operatività 24 ore su 24 di tutti i ministeri e delle agenzie di stato, ma non introduce censura o limitazioni degli spostamenti dei cittadini.
La replica russa su questo punto è arrivata dallo Stato Maggiore: “Non siamo in guerra con la Georgia”. Per i russi l’intervento militare è un’operazione per il ripristino della pace.
E questa sera una delegazione di rappresentanti di Usa, Ue, Osce e Nato si reca in Georgia nel tentativo di mediare per il raggiungimento del cessate il fuoco’
La guerra in Georgia piomba anche sui Giochi olimpici. I 35 atleti georgiani presenti in Cina, stanno pensando al ritiro da Pechino. ‘Siamo preoccupatissimi, anche perchè mentre il bilancio delle vittime si aggrava, da oltre un’ora non riusciamo a telefonare a casa: le linee sono interrotte e anche i telefonini non funzionano’, spiega nel primo pomeriggio Giorgi Tchanishvili, addetto stampa della delegazione georgiana.
Da Tbilisi, intanto, il presidente Saakashvili minaccia azioni di protesta da parte degli atleti: ‘Potranno venire squalificati in base alla Carta olimpica, ma vogliono farlo’, aggiunge il capo di Stato.
Ma, in serata, è il portavoce della delegazione a rincarare la dose, arrivando a parlare esplicitamente di un possibile ritiro del team. ‘Non abbiamo ancora preso una decisione’, precisa Tchanishvili, spiegando che la scelta definitiva spetterà al governo L’unica nota positiva della giornata arriva per ultima. ‘I telefoni hanno ripreso a funzionare e gli atleti hanno potuto parlare con amici e parenti’, conclude il portavoce.
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