Il Senato ha approvato il lodo Alfano, il provvedimento che introduce l’immunità per le quattro più alte cariche dello Stato, che così è diventato legge. 171 sono stati i voti favorevoli. I contrari sono stati 128, gli astenuti 6, tra cui il senatore a vita Emilio Colombo.
Il Pd ha vota contro e ha respinto gli inviti al dialogo. per Anna Finocchiaro è evidente “l’intenzione della maggioranza è costruire un sovrano senza limiti”.
Di seguito la dichiarazione di voto di Anna Finocchiaro, presidente dei senatori PD.
“Altro che possiblita’ di governare, questo e’ un presidenzialismo di fatto. Siamo alla dittatura della maggioranza che cancella l’autonomia del Parlamento”.
Si è svolta ieri in quest’Aula la discussione – e la votazione – sulle pregiudiziali di costituzionalità presentate dal mio Gruppo e dal Gruppo dell’Italia dei Valori. Il sen. Ceccanti e il sen. Li Gotti ne hanno sostenuto le ragioni, a mio avviso fondatissime. La maggioranza le ha respinte. Come sia, da questo dobbiamo partire, anche per ridare verità e senso ad un dibattito che altrimenti – perdonatemi colleghi – sarebbe talmente inzuppato di ipocrisia da risultare indigesto anche ad uno studente universitario di primo anno.
E se mai un ringraziamento dobbiamo al Presidente Berlusconi, esso riposa (si dice così?) sulla lettera inviata al Presidente Schifani qualche tempo fa’.
Ufficialmente, di più, ISTITUZIONALMENTE, la ragione per la quale oggi (e con quale ardore e “frenesia”) discutiamo il d.d.l. Alfano è che bisogna difendere la tranquillità del premier dalla perturbante insolenza di un processo cominciato anni fa’, quando Berlusconi certo non rivestiva la carica di premier, prossimo alla sua definizione in I° grado, iniziato per fatti estranei all’esercizio delle funzioni.
Processo condotto, è da ritenere, restando fedeli al pensiero e alla lettera del Presidente Berlusconi, da chi, “infiltrandosi nella magistratura, usa la magistratura italiana per sovvertire la democrazia”. Interessante punto di vista specie per chi rifletta quale raffinata manovra di precisione di tempi, luoghi, di esiti concorsuali, assegnazione a diversi uffici, iscrizione a ruolo, predisposizione di udienze ci vogliono per realizzare il perverso disegno. Lavorio febbrile di almeno un decennio perché arrivi a puntino l’ora x, del processo y, in danno del premier di turno.
A questo punto guardiamo dunque la questione com’è, e respingiamo l’assalto di ogni turbamento che, per quanto mi riguarda, deriva dal ricordo della proclamazione del principio d’uguaglianza, dall’affermazione – oggi così improbabile – che “nello Stato costituzionale non esistono sovrani”, e dallo stesso ricordo di quelle modifiche che tanti della vostra parte vollero con forza negli anni scorsi (AN e Lega) all’art. 68 e all’art. 90 della Costituzione. Vollero perché – per adoperare le parole dell’on. Fini – “Non debbono esserci più discriminazioni. Dovute all’esistenza di una norma che consente queste discriminazioni e prevaricazioni da parte della maggioranza…L’elezione alla Camera non può servire per coprire malefatte né per essere autorizzati a commetterle.”.
Tralascio la performance dell’on. Orsenigo e del suo cappio. Di performance da parte di esponenti autorevoli della Lega ne abbiamo avuto, in questi giorni, abbastanza.
La questione è in questi termini: si mette mano, con legge ordinaria, al sistema delle prerogative (nel nostro ordinamento sempre disciplinato dalla Costituzione o con legge costituzionale. Il perché è chiaro, ce l’ha spiegato il Presidente Berlusconi. Ma lo voglio assumere nella accezione con cui ci è stata presentata dai colleghi della maggioranza e dallo stesso Ministro Alfano: con l’attuale sistema elettorale il capo della maggioranza governa e – sia pure fuori da una espressa previsione legislativa – deve intendersi investito della funzione direttamente dal popolo. Ergo, egli ha il dovere e il diritto di governare. Affermazioni sin qui incontestabili. È quello che viene appresso che mi preoccupa: diritto – dovere di governare SENZA LIMITE?
È una novità. Fino a questo momento il nostro ordinamento – ripeto costituzionale – ha regolato ipotesi di immunità e prerogative solo per fatti commessi nell’esercizio della funzione. Così è per l’art. 68 che tutela i voti dati e le opinioni espresse nell’esercizio della funzione parlamentare, così per l’autorizzazione a procedere per Presidente del Consiglio e Ministri prevista solo per i reati commessi nell’esercizio delle funzioni, così per il Presidente della Repubblica, irresponsabile per gli atti compiuti nell’esercizio delle funzioni, salvo che per alto tradimento e attentato alla Costituzione.
Che vuol dire? Che nel nostro ordinamento costituzionale è pacifico che ciò che è tutelata è la funzione e gli atti ad essi correlati, i c.d. atti funzionali, e che per il resto ogni potere – tutti i poteri – a cominciare da quelli del Presidente della Repubblica – incontrano un limite. Il limite è quello che per i fatti estranei all’esercizio di quelle funzioni vige il principio di uguaglianza: tutti uguali di fronte alla legge.
Oggi, sub specie sospensione del processo, voi introducete una rottura del limite. Eppure la funzione del governare sarebbe già salva, con riferimento agli atti funzionali. Ma il punto è, secondo voi, che la giurisdizione agisce fantasmi del passato per turbare questa funzione di governo. Che ritenete meriti una tutela che, fuori da ogni previsione costituzionale, ha la dignità per entrare in conflitto (o in bilanciamento se preferite) con il principio di uguaglianza. Al Presidente del Consiglio, cui si applicano già gli artt. 68 e 90 della Costituzione, serve anche altro. A questo Presidente del Consiglio. Per governare.
E allora perché l’ipocrisia di estenderlo alle altre cariche dello Stato? Il Presidente del Consiglio, voi dite, è sostanzialmente eletto dal popolo sovrano. Dissento, e vigorosamente, ma registro. Ma i Presidenti delle Camere? Sono eletti da maggioranze parlamentari. E così il Presidente della Repubblica. Qui il popolo non c’entra. Il popolo, cui appartiene la sovranità, lo dice l’art. 1 della Costituzione, deve esercitarla nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Invece al Presidente Berlusconi non si pone limite. E da ora in poi a nessun Presidente del Consiglio. Per qualunque reato. Anche il più brutale. Anche il più infamante. Anche quello commesso in flagranza. Ma non vi accorgete dell’enormità? Ma che c’entra questo con il prestigio delle istituzioni? Con la loro onorabilità? Con l’autorevolezza nel governare?
In un sistema già provato. Lo dite voi stessi. Siamo passati da una democrazia parlamentare fondata sulla tripartizione dei poteri, ad un presidenzialismo di fatto. È una vostra ripetuta affermazione. A questo presidenzialismo di fatto si accompagna la c.d. “dittatura della maggioranza”, che cancella la orgogliosa – sotto il profilo politico e della prassi costituzionale, e istituzionale – autonomia del Parlamento dall’esecutivo che contraddistinse la prima fase della Repubblica.
La detronizzazione della giurisdizione, del suo organo di autogoverno è un fine politico dichiarato. Il limite del controllo giurisdizionale, ma anche del controllo operato dalla libera informazione (ricordate i 3 anni di arresto) è considerato insopportabile.
Nel delicato sistema di cheks and balances di cui ogni prerogativa e immunità è elemento, voi introducete la rottura del limite, in favore del Presidente del Consiglio. In un sistema presidenziale di fatto. Senza i limiti e le garanzie di un presidenzialismo regolato. Guardate l’albero e non vedete la foresta. Non vi chiedete dove state andando. A che sbilenco, e incontrollabile negli esiti, modello state lavorando. A testa bassa, senza riflettere. Con legge ordinaria, perché bisogna fare presto, forzando il calendario, rimandando l’approvazione del decreto sicurezza, intanto sospendendo 100.000 processi e poi si vede.
Poteva esservi un’altra soluzione? Forse. Si poteva cercare insieme. Non siamo irresponsabili, sen. Quagliariello. Ma prima bisognava che vi affrancaste dall’idea che tanto comanda lui. Potevate contare molto di più, colleghi della maggioranza C’è un aggettivo che, prima, si accoppiava alla parola Parlamento. Libero Parlamento. Suonava bene. Funzionava anche meglio.