Sicurezza. E’ stata una delle parole chiave della campagna elettorale, una delle principali preoccupazioni degli italiani. E ora è giunto il momento di agire. Questo in sostanza il senso dell’incontro che si terrà in settimana tra il ministro degli Interni, Maroni, ed i colleghi di Giustizia, Esteri, Difesa e delle Politiche comunitarie. Convocati al Viminale Gianni Alemanno e Letizia Moratti. Anche Leonardo Domenici, sindaco di Firenze e presidente dell’ANCI verrà probabilmente coinvolto nel giro di colloqui, “perché il mondo delle autonomie locali, i Comuni, i sindaci, sono fondamentali per contrastare ogni forma di illegalità”, ha dichiarato il neo ministro dell’Interno.
A favore di un maggiore coinvolgimento dei sindaci si detto anche Marco Minniti, ministro dell’Interno del governo ombra del PD, convinto che il coordinamento dell’azione dei pubblici poteri sia fondamentale per garantire una maggiore sicurezza sul territorio. Nella prima riunione del governo ombra del PD ha elencato le tre linee-guida che ispirano le proposte del partito, frutto di un approccio realista al problema sicurezza. “L’effettività della pena, l’impegno contro la clandestinità (chi viene clandestinamente deve essere espulso e l’espulsione deve essere effettiva; ma chi viene per lavorare deve essere messo in condizione di farlo) e il grande dimenticato da questo dibattito: la criminalità organizzata”.
Intanto Maroni ha annunciato che mercoledì il pacchetto sicurezza sarà pronto. La ricetta appare chiara. Niente sanatorie e lotta all’immigrazione illegale. Un ritorno sostanziale alla legge Bossi – Fini nella sua versione integrale, soprattutto per quanto riguarda l’obbligatorietà della permanenza nei Centri di permanenza temporanea (CPT), l’inasprimento delle pene e il ritorno alle “retate dei clandestini”. Maroni si dice anche intenzionato a introdurre, con l’avallo di Bruxelles, il reato di immigrazione clandestina. Una risposta “autoritaria” alle esigenze dei cittadini, un ritorno al pugno di ferro, coerente con le posizioni leghiste ma, per ora, debole nella riflessione sulla gestione dei flussi migratori.
No a reato di immigrazione clandestina: Secondo Marco Minniti, “introdurre il reato di immigrazione clandestina rischia di fare del nostro Paese un immenso carcere: c’è il rischio concreto che le proposte abbiano esattamente l’effetto opposto di quelli auspicati: su questo c’è bisogno di grande prudenza, c’è bisogno di grande attenzione a questi temi”. A giudizio dell’esponente del Pd, il primo provvedimento da prendere “urgente, anzi urgentissimo” è ristabilire una “cooperazione effettiva con il governo libico” e “ristabilire l’effettività dell’accordo Italia-Libia sui flussi migratori, o avremo tra maggio e giugno una pesantissima situazione a Lampedusa”. Anche Lanfranco Tenaglia, Guardasigilli ombra del PD, condanna il reato di immigrazione clandestina che definisce “una risposta inefficace ad un’esigenza effettiva”.
E’ davvero colpa del governo Prodi? Secondo un dossier del “Sole24ore” sarebbero 650mila gli immigrati clandestini presenti attualmente in Italia, stanziati principalmente nel Nord della penisola, attirati dal miraggio del benessere e dello sviluppo economico, spinti dalla necessità di trovare lavoro o in fuga da situazioni insostenibili. Nel 2007 erano molti di meno, circa 350mila. Colpa dei due decreti flussi del governo Prodi del 2006 e del 2007, che hanno sanato la situazione di circa 520mila lavoratori clandestini (nonché dei loro datori di lavoro)?
Secondo l’analisi del “Sole24ore” si tratta, invece, di mettere in discussione un intero ventennio “bipartisan” di politiche migratorie, caratterizzato da sanatorie e regolarizzazioni. La prima risale al 1990 (Legge Martelli, 220mila regolarizzazioni), poi la Legge Dini del 1995 (250mila) seguita dalla legge Turco-Napolitano nel 1999 (240mila). Penultimo atto, prima dei decreti flussi del governo Prodi, la legge Bossi – Fini del 2002, la supersanatoria che ha regolarizzato 700mila immigrati clandestini. Provvedimenti ciclici, quasi “svizzeri” nella loro puntualità, ma che costituiscono, secondo l’analista del Sole24ore, un incentivo per schiere di immigrati attirati dal miraggio della sanatoria più che da prospettive lavorative. Una situazione che si presta ad attirare anche i flussi più evidenti, quelli legati alla malavita organizzata, sempre più frequentemente agli onori della cronaca ma che relegano nell’ombra tutti gli immigrati onesti.
Ma gli immigrati fanno paura o sono una risorsa? Secondo le ultime stime diffuse da Unioncamere l’apporto degli immigrati all’economia sarebbe pari al 9,2% del Pil. Eppure l’unico contributo degli immigrati che ci viene, costantemente, ricordato dai media è quello della violenza. Poco importa anche se gli episodi di violenza in cui sono coinvolti stranieri sono, in proporzione alla popolazione, meno di quelli imputabili a cittadini italiani, soprattutto per quanto riguarda gli omicidi e gli episodi di violenza sulle donne. Tuttavia non giova negare l’evidenza. Lo straniero fa paura ed è reale il disagio e la percezione diffusa di insicurezza che riguarda sempre più cittadini. Ma di fronte ad un fenomeno così complesso il pugno di ferro rischia di aggravare la situazione e di alimentare tensioni sociali trasversali.
La legge Bossi – Fini: frutto del lavoro congiunto di due ministri di ferro, la legge ha limitato seriamente la possibilità di entrare legalmente nel nostro paese favorendo così quelle organizzazioni criminali, anche quelle “made in Italy”, che dalla tratta degli esseri umani ottengono guadagni vertiginosi. La legge Bossi – Fini, ancora in vigore, da una parte riduce drasticamente le possibilità di ingresso regolare (sia quanto ai casi di concessione dei visti d’ingresso, sia quanto al ricongiungimento familiare); dall’altra rende precaria la condizione del migrante, riducendo la durata dei permessi di soggiorno, legando rigidamente il permesso al contratto di lavoro ma alimentando di per sé situazioni di clandestinità.
L’inasprimento che sarà imposto dal decreto sicurezza di prossima approvazione renderà ancora più difficile la vita agli immigrati, senza però interpretare e comprendere la complessità dei flussi migratori. Non si tratta né di retorica dei diritti umani nè di mancanza di sensibilità verso il problema della sicurezza. Semplicemente di affrontare con serietà un fenomeno complesso, che presenta sia aspetti negativi che positivi. Un fenomeno, quello dell’immigrazione, che ha riguardato in prima persona noi italiani, e che ci riguarda oggi in quanto paese ponte dell’Africa e dell’Asia verso l’Europa.
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